(funge anche da Diario di Bordo del 16 Dicembre)
Oggi ho fatto una cosa bella.
Sono andata alla mostra di Steve McCurry a Bologna. Si chiama “Animals” e appena ho visto il manifesto ho subito pensato di volerci andare. Mi sono ripromessa di girare un po’ di più per mostre e musei, così ho coinvolto la mia mamma e abbiamo prenotato. Abbiamo già programmato anche un’altra uscita, con Fra e Sharingan, a Padova per la mostra di illusioni ottiche che ispirava tanto Momo.
Beh, insomma.. ho fatto questa cosa bella.
La mostra sarebbe bellissima se non fosse terribilmente ridotta. Se avessi pagato l’intero biglietto, ben 15 euro, e non avessi approfittato degli sconti per il black friday mi sarei davvero arrabbiata.
Una mostra fotografica con 30 foto? Oltretutto selezionate da un catalogo immenso, lo scrivono proprio all’inizio del percorso.. Ci abbiamo messo mezz’ora scarsa per girarla tutta.
Mamma, innervosita, ha detto che avremmo potuto cercare le sue foto a casa guardandole sulla nuova tv e sarebbe stato lo stesso..
E a me innervosisce ancor di più il fatto che non sia vero. In realtà l’accessibilità alla cultura non riguarda solo il fatto che “potresti cercartele e guardartele da solo”, perchè non è la stessa cosa. Comporterebbe uno sforzo, quello di andare a cercare le foto, e soprattutto, una inevitabile noia nella scelta di quelle da guardare. Si susseguirebbero dopo poco tutte uguali, e guardandole una dopo l’altra limitandoti a cliccare sul mouse o spingere il tasto del telecomando non ti rimarrebbe più nulla di loro. Finiresti per non vederle davvero, per non fermarti neanche un secondo, per non commuoverti. Finiresti sommerso dalla loro quantità e non ne godresti affatto, ti passerebbero sopra come tante altre cose della vita senza lasciarti un ricordo.
Fa ancora più incazzare perchè ci serve, la mostra. Il lavoro di qualcuno che selezioni e che disponga, e che metta tutto a posto in modo che tu possa goderti quell’esperienza, che non è solo quella della mostra è in sè, ma è anche il viaggio che fai per arrivare a vederla, l’entrare nel palazzo dove si colloca, uscire da essa, parlarne per le vie della città che la ospita e fermarti a mangiare in un ristorante poco lontano.
Questo lascia qualcosa. Qualcosa di profondo e di bello.
Ed è inaccettabile che mi costi così tanto proprio perchè mi serve, tutto questo contorno.
A parte la brevità, comunque, non si può dire che fosse una mostra brutta. Mi dispiace che non ci fosse anche Fra, perchè gli sarebbe piaciuta. Si sarebbe commosso come me a vedere tutti quegli animali.
C’era la foto di uno scimpanzè con gli occhi color nocciola, come i miei. Uno sguardo così umano che faceva impressione, come guardare una persona. E poi tanti uomini diversi, in paesi diversi, con animali diversi, Un ragazzo che legge e sulla sua spalla, appoggiato come un cagnolino, un cucciolo di elefante. La preferita della mia mamma.
La mia invece, che mi ha fatto venire i lacrimoni, ritraeva un bimbo indiano appoggiato di schiena ad una mucca aranciata, raggomitolata come i gatti, che lasciava cadere la testa fra le braccia del bimbo, ad occhi chiusi, dormiente. Fiducia reciproca, quotidianità e riposo.
Gli occhioni docili di quella mucca.. mi viene da piangere solo se ci penso.
L’ho detto a Momo e lo ripeto qui:
non credo che esista cosa, al mondo, più bella delle bestie.
E’ proprio così, non c’è nulla che mi fa paralizzare quanto gli animali. Ogni cane al guinzaglio, ogni gatto per strada, ferma la mia quotidianità.
Io devo sorridere al cane, devo accucciarmi per tentare di attrarre il gatto, non posso sottrarmi.
Arrivare a casa e sentire i miagolii di Gino è la salvezza delle mie giornate. Sapere che tornerò dal lavoro e lui si accuccerà vicino a me per dormire insieme, il suo ronfare, le fusa. Gino è la cosa più terapeutica della mia quotidianità. E’ un momento gioia, di serenità reale, di amore e di cuore tiepido.
E così i gattini di mio padre.
Zed, che quando l’altro giorno sono andata a pranzo si è addormentato steso lungo il mio busto, col musino vicino alla mia faccia e le zampe protese in avanti come per abbracciarmi.
Un gatto che di solito non sta a lungo in braccio agli umani, lo fa solo con me, dice Babbo. E non mi sono mossa di un solo millimetro per evitare di disturbarlo, a costo di infreddolirmi irrimediabilmente visto che in quell’angolo di casa non arriva il calore del fuoco del camino,
E lo guardavo, lo guardavo dormire, respirare piano.
Sono indistraibile, quando sto con gli animali.
E indubbiamente la sensazione più bella e potente che io abbia mai provato è correre al galoppo su un prato. E sentire i muscoli del cavallo, e i tuoi, il suo respiro e il tuo, il vento in faccia, il suo pelo sotto le dita.
Nulla è paragonabile. Nulla.
Scopare? Scopare in confronto è come grattarsi il mento.
Non c’è cosa, al mondo, più bella delle bestie.

Lascia un commento