La scorsa settimana sono stata in viaggio con mio fratello. Viaggio turbolento sin da prima che cominciasse, a dire la verità.. e non nascondo che parte della preoccupazione fosse data proprio dal fatto di dover passare tre-quattro giorni insieme.
Per non essere fraintesa, puntualizzo che io e Fra abbiamo un rapporto bellissimo, da sempre. Abbiamo sei anni di differenza, lui ne fa trenta quest’anno. Una soglia spaventosissima, quella dei trent’anni.
A parte durante le parentesi delle rispettive adolescenze, dove per forza di cose ci siamo ignorati più del solito (ma comunque mai confliggendo e rimanendo contenti di avere a che fare l’una con l’altro) siamo sempre stati legati e uniti da un affetto e da una stima sincere.
Fra è uscito di casa prestissimo, prima trasferendosi dal suo migliore amico, e poi cercando casa una volta scaraventato nel mondo del lavoro. Di fatto, saranno dodici o tredici anni che non viviamo sotto lo stesso tetto.. grazie al cielo, aggiungerei.
Si, perchè nonostante il bene indescrivibile che provo nei suoi confronti Fra è probabilmente la persona più pesante che io abbia mai conosciuto.
Se anche volessimo, con grande sforzo, mettere da parte il disagio ed il malessere che lo accompagnano come la nuvola nera di Fantozzi ovunque vada, Fra è pesante anche nel suo buonumore.
Lo scrivo col sorriso sulle labbra, intendiamoci, non come una cosa negativa o che andrebbe cambiata. E’ semplicemente fatto così.
Se ti suona il telefono e lui è dall’altro capo devi mettere in conto che passerai almeno un’ora attaccato alla cornetta, e probabilmente a sentirlo parlare, con un entusiasmo così travolgente che davvero rende impossibile staccarsi, di tutte le cose che lo appassionano, che ha fatto o di cui ha competenza.
Al contrario di me, infatti, Fra è una persona estremamente pratica. A cui piace fare le cose, proprio nel senso di crearle, estrarle, costruirle. E’ un cuoco, quindi il suo principale ambito di manovra è quello degli alimenti, e nello specifico della carne, per mia grande gioia, visto che sono vegetariana.
Ed è capace di parlare per ore, letteralmente, ore intere, di quale preparazione complicatissima ha preparato nei giorni precedenti, quale animale e quale parte di quell’animale ha utilizzato per realizzarla, dove ha comprato quell’animale e perchè ha scelto proprio quel luogo per comprarlo, come lo ha disossato e lavorato per giorni per ottenere ciò che voleva e perchè sia necessario ogni specifico passaggio compiuto per arrivare a quel risultato.
E non si rende conto che ti ha tenuto al telefono 45 minuti per spiegarti come fare il patè d’oca (di cui, intendiamoci, a te non frega proprio un cazzo).
E’ buffo, buffo da matti.
Ed al contempo ha tanta rabbia che non sa dove metterla, frustrazioni che non riesce a gestire e depressioni che combatte a fatica. Non credo che sia fatto per questo mondo qui, per questa società qui.. intendiamoci, forse nessuno lo è, ma lui.. è sempre così affaticato, così rabbioso. Sempre sulla soglia di esplodere per un nonnulla che per lui sembra una montagna insormontabile.
Penso davvero che se andasse a vivere in mezzo ai monaci in Tibet starebbe meglio. O in un qualsiasi posto in cui possa contemplare la natura e lavorare per vivere, e non per uno stipendio, che è molto diverso.
Fa stringere il cuore vedere una persona che ami fare tanta fatica. Non poter alleggerirla, non potere portarla via di qui.
Però questi tre giorni sono stati una manna dal cielo, alla fine. Come se anche lui si fosse depurato di tutta la fatica e l’angoscia, come se l’aria di montagna le avesse portate via. L’ho visto respirare a pieni polmoni sulla cima di un monte e giocare con il cagnolone dei proprietari del rifugio, mangiare di gusto tutto ciò che gli si parava davanti e bere birra senza la necessità di esagerare.
Siamo stati bene.. abbiamo già detto che ci organizzeremo meglio per poter stare un po’ di più, la prossima volta.
Non vedo l’ora.
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