La mia mattinata è cominciata nel migliore dei modi. Ho frantumato in mille pezzi una delle mie tazze preferite, una ciotolina blu oceanico che ospita sempre il mio yogurt con il miele. Schegge di vetro ovunque, io che cerco di raccoglierle con la scopa prima che il gatto le mangi. Finisco questa operazione e torno a rigirare i miei fiocchi d’avena sul fornello, accorgendomi solo dopo che dal palmo della mia mano sgorga un fiotto di sangue che sembra inarrestabile. Sospiro e cammino velocemente in bagno per tamponare la ferita con un pezzetto di carta igienica, ma mentre abbasso lo sguardo per strapparne un velo, noto che anche le mie gambe stanno sanguinando, le caviglie, i piedi. Insomma, un macello, sembravo uscita dal film Carrie – Lo sguardo di Satana:

Dato questo inizio scoppiettante, non mi sono stupita quando ho captato, nel tragitto in bus che mi riportava a casa dai miei impegni di cat-sitter, una classica conversazione fra due stronze razziste.
No, non c’è un altro modo di definirle. Se ne stavano sedute in due sedili abbastanza distanti fra loro, una di fronte all’altra, parlando ad un tono di voce abbastanza sostenuto perchè tutti le sentissero chiaramente.
La stronza razzista più anziana scuoteva la testa con disappunto, con quel modo tipico che sta ad intendere: “Lo so io come funziona il mondo, la vita, lo Stato, tutto“, mentre la più giovane esordiva con le solite solfe, trite e ritrite. La sua collega appena assunta, del Marocco, gira con le borse firmate ed i vestiti di marca. La vuole far credere a tutti, soprattutto a lei, fiera italiana DOC nata e cresciuta su suolo peninsulare italico. Addirittura porta il velo, questa sciagurata africana, come si può sopportare, in un ufficio? Non è professionale. E tutti quelli che arrivano, che sbarcano, che travalicano i nostri sacrosanti confini? Scappano dalla guerra ma hanno tutti il cellulare, vero? Ah, ma non ce la danno mica a bere. Noi lo sappiamo, cosa vogliono, venire qua a non far niente, a poltrire, a mangiare il nostro cibo e sperperare i nostri soldi!
Ora io mi chiedo: se tu dovessi intraprendere un viaggio pericolosissimo, da solo, che sai potrebbe durare addirittura anni, verso un luogo che non conosci e che non sai se ti accoglierà affidando la tua vita nelle mani di violenti sfruttatori che forse ti faranno la grazia di portarti in quel luogo (o forse no, dipende, magari finisci in un campo di tortura in Libia, ma che vuoi che ti dica, è il brivido dell’avventura) non ti porteresti dietro qualcosa per comunicare? Un magico attrezzo che ti permetta di non rimanere completamente isolato, in balia della tua già sfortunata sorte?
E mi chiedo anche dove sta scritto che chi viene dal Marocco -o da qualunque altro posto- sia costretto a rimanere povero a vita in modo da convincere queste fiere esponenti della razza italiana che da dove viene lui la povertà esiste davvero. O che chi è arrivato con lui non è un mendicante sotto mentite spoglie.
Ma soprattutto mi chiedo: ma che cazzo di problemi avete.
Quanto bisogna essere miserabili per scaricare il proprio odio su chi sta peggio di te? E badate bene, che io comprendo la rabbia. Capisco la frustrazione del fare una vita di fatica, la sensazione di essere abbandonati da uno stato che dovrebbe prendersi cura di te e che invece non fa mai abbastanza. La rabbia è sacrosanta.
Ma devi essere un fottuto animale per rivolgerla contro chi è più debole, e contro chi è diverso. Piace vincere facile, vero? Calpestare chi sta già in terra e raccontarti che hai ragione perchè sei meglio di lui, perchè vali di più.
Ho pensato dieci volte di infilarmi in mezzo a loro e gridare a gran voce di andarsene a fanculo, e dieci volte mi sono morsa la lingua. Ho sospirato rumorosamente, alzato gli occhi al cielo facendo in modo che mi vedessero, borbottato fra me e me mentre spulciavo il telefono. Ho guadagnato qualche occhiataccia e un tono di voce più basso.
Avrei dovuto dire qualcosa.. ho mancato di spirito e me ne dispiaccio. Non fate come me, intromettetevi. Sono persone che non si meritano di essere ascoltate, nemmeno per sbaglio.
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