
L’altro giorno ho visto Artemide nello spogliatoio della mia palestra. A dire il vero, l’avevo già intravista poco prima, in piscina. Nuotava inarrestabile, senza fermarsi per riprendere fiato. Eppure era graziosa, leggiadra. Si muoveva come se stesse fluttuando nell’aria, fra il vapore delle nuvole. L’ho vista stendere un braccio oltre la testa e girarsi su se stessa, una leggera piroetta prima di ricominciare a nuotare, un momento di gioco.
L’ho vista di nuovo fra gli armadietti. Atletica e scattante come un giaguaro, una galassia di tatuaggi sulla pelle liscia, senza un difetto. I capelli scuri e corti, gli occhi neri come la pece, da perdersi a guardarci dentro.
Le mani affusolate, le nocche sporgenti. Braccia forti, snelle, pronte a tendere la corda del suo arco. Le spalle sottili e la schiena muscolosa, percorsa da kanji giapponesi che scivolavano dalla fine del collo all’incurvare del coccige.
Il mio respiro si ferma, se resto a guardarla.
Chissà cosa farà, uscita di qui.
Posso vederla cacciare fra le fronde dei boschi montani,
stendersi all’ombra delle foglie dei pioppi.
Riposare gli occhi cullata dai suoni della foresta e cantare insieme al vento.
Oppure la vedo iraconda, impugnare la sua lancia, prepararsi alla battaglia.
Con quegli occhi neri come il fondo del mare che si accendono di fiamme indomabili. Stringe i denti, scatta in avanti.
Una leonessa che afferra la preda.
Non so se la rivedrò, ma sono certa, che fosse lei.
PS.
Prima di allarmare qualcuno, non passo il mio tempo a fissare le altre donne in spogliatoio. Si tratta di una ragazza che ho visto appena di sfuggita e che mi ha colpito come un fulmine in una giornata di pieno sole estivo.
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