Domenica, come tutte le sere, ho preso il solito autobus per tornare a casa dal lavoro, attorno a mezzanotte. Un fatto buffo: lo aspetto alla stessa identica fermata di quando frequentavo il liceo, davanti alla scuola, e sorrido sempre pensando che da dieci anni mi fermo tutti i giorni nella stessa via, nello stesso punto. Chissà quanto tempo ci avrò passato in quel pezzetto di selciato.
Comunque, prendo l’autobus e mi perdo nella classica alienazione da social, passando di foto in foto su Instagram senza guardarne neanche una. Dopo un paio di minuti sento una voce di donna strillare dal fondo dell’autobus:
“Scusa?! Scusa un cazzo! Mi ci pulisco il culo con le tue scuse!”
Devo ammettere che non ci ho fatto molto caso, il mio bus è sempre pieno di matti. Abito in un quartiere popolare e almeno la metà di quelli che lo vivono non sono “tutti a casa“, come direbbe mio padre. Ho buttato un occhio indietro solo perchè sono una terribile ficcanaso, caratteristica poco lusinghiera ma che in questo caso è stata utile.
La ragazza in questione (che chiameremo Rucola, abbreviato in Ru), che non aveva neanche vent’anni, camminava verso il lato più affollato dell’autobus e continuava a ripetere a chiunque incontrasse che il tizio seduto dietro di lei l’aveva toccata, suscitando soprattutto sguardi perplessi, che sembravano dire: “e io che ci posso fare?”
Mi sono alzata e l’ho raggiunta, insieme ad un’altra ragazza. Le abbiamo chiesto chi fosse stato ma siamo riuscite solo a scorgerlo con la coda dell’occhio visto che appena aperte le porte del bus la merda umana si è defilato alla velocità di Speedy Gonzales.
Intanto però, la povera Ru stava boccheggiando in un evidente attacco d’ansia. Respiro affannato, groppo alla gola e le lacrime che cominciavano a salirle agli occhi. L’abbiamo fatta sedere e siamo state vicino a lei suggerendole di ispirare dal naso ed espirare dalla bocca, lentamente, rassicurandola sul fatto che se ne fosse andato, cosa che pian piano l’ha tranquillizzata.
Ci ha raccontato come fosse andata, di come si fosse accorta solo in un secondo momento che la merda umana le stesse strofinando una mano sul fianco, allungandosi dal sedile dietro il suo. Era sconcertata, avvilita, e continuava a chiederci scusa come se ci stesse disturbando.
Le ho chiesto se non le fosse mai capitato prima e lei mi ha risposto:
“No, questa è la mia prima volta”.
La mia prima volta. Mi si è gelato il sangue. Come se fosse un passaggio obbligato, una sorta di iniziazione. Lo sai che ti capita, prima o poi, aspetti solo il tuo momento. Le ho detto che questo è un mondo di merda e che mi dispiaceva, che era stata bravissima ad urlare e cercare aiuto in mezzo alla gente. Mi ha fatto una tenerezza indescrivibile, tanto che avrei voluto portarmela a casa e farle una cioccolata calda.
Alla fine le conseguenze sono state tenere, siamo scese tutte alla stessa fermata e l’abbiamo accompagnata fino a casa, chiacchierando del più e del meno. Un bell’esempio di solidarietà femminile.
Non so perchè mi ha tanto colpito da volerlo raccontare, forse perchè un po’ mi ha spezzato il cuore e un po’ me l’ha scaldato.
Spero tanto che Rucola stia bene e che non ci stia più pensando.
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